Mindhunter 2: intervista ai serial killer

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Mindhunter, Il thriller psicologico diretto dal poliedrico e pluripremiato David Fincher, ha fatto il suo ritorno con la seconda stagione sulla piattaforma Netflix.  Ci porta attraverso le interviste condotte da due agenti dell’FBI, nella mente dei serial killer più iconici d’America.

Mindhunter: Prima stagione

Nella prima stagione la coppia di agenti dell’unità comportamentale dell’FBI,  Holden e Bill sono in giro per il paese ad intervistare i serial killer più pericolosi d’america, alla ricerca delle pulsioni profonde che li hanno spinti ad uccidere. Scavando nel loro passato portano alla luce traumi infantili e rapporti malsani con i genitori che sono stati la causa, da adulti, del loro comportamento deviato. Insieme poi a Wendy, la psicologa che si aggrega in supporto dell’unità Scienze Comportamentali, riascoltano e trascrivono le registrazioni alla ricerca di elementi che possono essere utili a capire le personalità che si celano dietro ad omicidi seriali per poi tracciarne un profilo psicologico che possa aiutarli nel scovare i futuri killer.

La prima stagione di Mindhunter non ha niente di eccezionale,  ha tutti gli elementi per essere banale, ma ha un particolare: è ipnotizzante. Lenta e affascinante. Ciò che spinge a guardarla è che dopo qualche episodio la curiosità di scoprire i dettagli più personali e oscuri dei serial killer si fonde con quella dei protagonisti e si arriva all’ultimo episodio senza accorgersene.

Nella mente dei serial killer: la seconda stagione

Avevamo lasciato Holden alle prese con un attacco di panico dopo l’abbraccio con Kemper, segno della tensione a cui il lavoro e la sua voglia di conoscenza lo sottoponeva. Holden Ford, si rimette e insieme al compagno Bill Tench continuano il loro tour in giro per il paese ad intervistare i killer seriali tra cui il famoso Charles Manson e alcuni membri della sua setta.

L’unità di scienze comportamentali intanto incomincia a far parlare di sé e a farsi conoscere. Subentra un nuovo responsabile e grazie alla sua piena fiducia nella nuova tecnica di profiling aumentano i fondi a disposizione. L’unità si espande ed è destinata a ricoprire sempre un ruolo maggiore nella risoluzione dei crimini violenti. Vista la popolarità crescente e la mancanza di pratica, Holden e Bill, vengono mandati sul campo ad Atlanta, alle prese con un un killer seriale che da anni sta uccidendo bambini senza che le autorità siano riuscite a dargli un nome e un volto.

Bill è messo a dura prova. Deve dividersi tra lavoro e famiglia. Da una parte è richiesta la sua presenza per le indagini sul killer di Atlanta e perchè il suo collega Holden, dopo il crollo fatica ad essere razionale. Dall’altra parte invece, perché il figlio adottivo, nel tentativo di fare amicizia con dei ragazzi più grandi, prende parte al massacro di un bambino. Intanto i rapporti con la moglie peggiorano giorno dopo giorno e deve cercare di scongiurare il divorzio.

Mindhunter: opinioni

Nella seconda stagione di Mindhunter c’è un po’ troppa confusione. C’è il lavoro dell’unità scienze comportamentali da portare avanti, le indagini sul killer di Atlanta, la vita privata dei due detective e di Wendy. Le basi per evolversi ci sono tutte, ma si viene sbattuti da una parte all’altra troppo freneticamente.

L’intervista a Charles Manson di cui tanto si parlava e che sembrava dovesse essere il punto focale della stagione, in realtà è stata molto superficiale. Ci si aspettava che la figura di Manson assumesse il rilievo di Kemper nella prima stagione, ma così non è stato.

Wendy è la grande esclusa di questa stagione. Viene lasciata sullo sfondo mettendo in primo piano la sua vita sentimentale con una giovane barista, a discapito della vita lavorativa, dove il suo acume avrebbe potuto dare qualche spunto interessante.

Concludendo, Mindhunter 2 non sarà eccezionale, ma la curiosità di vedere il volto del killer di Atlanta e a mio avviso anche la piega che prende il figlio di Bill – che può avere gli elementi per diventare un serial killer – mi hanno spinto a proseguire la visione senza troppi intoppi.

Federico Zamboni
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