Gatti di Chernobyl: che fine hanno fatto e perché sono ancora lì

Gatti di Chernobyl
No, non brillano al buio. Ma i gatti di Chernobyl esistono davvero.
Vivono tra le rovine della zona di esclusione (da cui è stata tratta anche l’omonima serie tv), tra i palazzi abbandonati e la vegetazione che si è ripresa la città. Ma chi sono? Come sopravvivono? E perché nessuno li ha portati via?I gatti nella zona di esclusione: come tutto è iniziato
Dopo il disastro nucleare del 26 aprile 1986, la città di Pripyat e i villaggi circostanti furono evacuati in fretta. Gli abitanti lasciarono tutto: case, effetti personali… e animali domestici.
I militari avevano ordine di eliminare i cani e i gatti rimasti per evitare la diffusione di radiazioni tramite pellicce e movimenti. Ma molti animali si nascosero, sopravvissero… e si riprodussero. È così che, a distanza di decenni, i discendenti di quei gatti vivono ancora lì.
No, non sono radioattivi (ma vivono in un posto tossico)
I gatti di Chernobyl non sono mutanti. Non hanno tre occhi, non brillano, e no: non sono pericolosi da toccare (ma meglio evitare, comunque).
Studi recenti hanno mostrato che il loro DNA presenta alterazioni minime, non tanto da classificarli come “mutanti”, ma abbastanza da far riflettere sul potere dell’adattamento.
Il vero pericolo è l’ambiente: terreni contaminati, fonti d’acqua tossiche, e condizioni climatiche estreme.
Chi si prende cura dei gatti di Chernobyl?
Negli ultimi anni, grazie a volontari e associazioni come Clean Futures Fund, alcuni gatti e cani della zona hanno ricevuto cure veterinarie, cibo, sterilizzazioni e persino microchip.
I lavoratori che ancora oggi operano nella zona (sì, Chernobyl non è del tutto deserta) spesso si affezionano agli animali e li nutrono. Alcuni li adottano informalmente.
Perché restano lì?
Perché è casa loro. Sono nati in mezzo a silenzio, alberi che crescono nel cemento e tetti crollati. Non conoscono altro. Sono diventati animali semi-selvatici, indipendenti, abituati all’assenza dell’uomo.
Portarli via significherebbe esporli a nuovi rischi. E molti si ammalerebbero comunque: l’adattamento non è solo fisico, ma anche ambientale.
Gatti tra i reattori: un simbolo di resistenza (e di inquietudine)
I gatti di Chernobyl sono diventati un simbolo virale, apparsi in documentari, foto inquietanti e video TikTok.
Molti turisti (sì, si fanno anche tour) li cercano per immortalarli. Alcuni li vedono come fantasmi viventi di un mondo perduto, altri come testimoni silenziosi del più grande disastro nucleare mai avvenuto.
Gatti di Chernobyl:conclusione
I gatti di Chernobyl non sono mutanti, né mostri. Sono sopravvissuti.
Vivono in un ambiente che l’uomo ha abbandonato, ma che loro hanno fatto loro. Dormono su letti coperti di polvere radioattiva, cacciano tra i ruderi e osservano i visitatori con occhi lucidi, come a dire: “noi siamo ancora qui”.