Disability Pride: “Non è l’elemosina quello che chiediamo”

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disability pride

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A distanza di qualche giorno dal Disability Pride, del 14 luglio scorso tenutosi a Roma, Dakar (Senegal) e New York City (USA), proviamo a chiarire le richieste dei manifestanti e a capire di più le difficoltà di chi vive con un handicap.

Cos’è il Disability Pride?

Si tratta di una marcia di rivendicazione dei diritti delle persone con disabilità, organizzata in Italia dall’associazione “Disability Pride ONLUS” che ha curato la seconda edizione di quest’appuntamento estivo dedicato alle istanze delle persone che vivono, loro malgrado, con una forma di disabilità.
L’appuntamento, organizzato per quest’anno in contemporanea con Dakar e New York, ha visto la partecipazione in tempi diversi di altre città, come Londra, che aveva già ospitato il disability pride con la partecipazione di centinaia di persone con il loro carico di esigenze, richieste e voglia di vivere.
Si tratta dunque di una marcia pacifica per richiedere attenzioni che non sempre le moderne società riescono ad avere verso chi è affetto da un handicap o da altri motivi che, poi, creano disabilità.

Cosa si chiede con il Pride dei disabili?

La cronaca degli ultimi anni ci ha abituato ad appuntamenti e giornate dell’”orgoglio”. Noti a tutti sono, infatti, i Gay Pride, movimenti di rivendicazione di diritti da parte delle comunità LGBT, perché evidentemente quei diritti sono in pericolo.
Non è diverso per le persone con disabilità. In molti paesi del mondo, infatti, i disabili vivono gravi discriminazioni.
Nonostante vi siano molte leggi a tutela di questi diritti, la presenza sulla scena sociale di tante organizzazioni private e di un sistema di assistenza e di sanità pubblica, in Italia si registrano ancora molte negazioni dello stato di diritto. Ciò significa concretamente la mancata applicazione di quelle leggi e l’indifferenza di grande parte delle persone per certe esigenze che sono sì particolari, ma che porterebbero a soluzioni utili per tutti.

Disability Pride: non chiediamo l’elemosina

Dagli organizzatori e dagli oratori intervenuti dal carro, durante la marcia in via Del Corso, e dal palco, allestito in Piazza del Popolo per uno spettacolo completamente accessibile, le frasi che più hanno entusiasmato i partecipanti sono state: “non chiediamo l’elemosina” e “un mondo accessibile ai disabili è un mondo accessibile a tutti”. Pensieri, questi, che racchiudono l’insieme complesso delle rivendicazioni di questo colorato e festoso Pride.
Gli organizzatori hanno provveduto a presentare al Governo una serie di soluzioni da discutere urgentemente per mirare ad una società maggiormente inclusiva e aperta ad accogliere quelle persone che, con disabilità, restano appunto persone, cittadini e soggetti con una loro dignità.

Perché un Disability Pride in Italia nel 2019?

Il Disability Pride di Roma e delle altre città hanno posto al centro delle loro richieste la piena applicazione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con Disabilità, emanata nel 2006 e, ad esempio, legge dello Stato con atto di recepimento del Parlamento Italiano dal 2009. Accessibilità è la parola chiave, quella che racchiude tutto. L’accessibilità dei luoghi, dove abbattere le barriere architettoniche renderebbe i contesti urbani più fruibili a tutti; delle infrastrutture, dove un ascensore guasto non debba diventare una umiliazione nell’usare i mezzi pubblici; dell’istruzione, con maggiori fondi per il sostegno e gli strumenti necessari ad un preciso percorso formativo, visto che spesso mancano anche scuolabus attrezzati; dei contenuti culturali, con maggiore attenzione, tra le varie, alla fruizione da parte delle persone sorde di spettacoli e format culturali.

Parola d’ordine: accessibilità

Accessibilità alla vita, insomma, incrementando contemporaneamente tutti gli sforzi per garantire livelli di assistenza che diano pienezza alla dignità delle persone.
Abbattimento delle barriere architettoniche, maggiori tutele per istruzione e lavoro, fondo per la non autosufficienza, questi i nodi principali per i quali il Pride delle persone disabili ha un senso oggi e, per il futuro, gli stessi organizzatori si augurano che tali manifestazioni diventino non necessarie.

Tra le righe del Disability Pride…

Un po’ di speranza per il futuro viene da una presenza nel corteo, quella di Andrea Venuto, persona disabile, Disability Manager del Comune di Roma. Quella del Disability Manager è una figura ancora nuova in Italia, che sostanzialmente dovrebbe aiutare tutti quei processi decisionali in merito, ad ogni livello e per ogni settore. Che il comune della Capitale si sia dotato di questa figura è un segno di speranza, perché registra un cambio di passo nella considerazione di queste tematiche, ribadendo e applicando il concetto che accompagnò la formazione della Convenzione ONU sopra richiamata, ovvero il “nulla su di noi senza di noi”.

L’orgoglio di vincere contro i propri limiti

L’auspicio è che porti ad azioni concrete. La speranza è rappresentata appunto da ciò, che vi sia un maggiore coinvolgimento delle persone disabili, delle loro famiglie e delle organizzazioni che curano i loro bisogni in questi processi decisionali, guardando al contempo ad un maggiore protagonismo delle persone con disabilità e l’abbandono dei pregiudizi da parte dei “normali”.
Questo perché dal carro, durante il corteo, è stato urlato con forza un concetto che risulta fortemente condivisibile: quella a manifestare è la parte migliore, più sana della società italiana e in grado di risollevare le sorti di questo Paese. Perché tale convinzione? Per un solo motivo: si tratta di persone che hanno saputo vincere contro i loro limiti, quindi in grado di capirli e rimuoverli, capacità che tra i “normali”, soprattutto quelli che gestiscono la cosa pubblica, non si riconosce minimamente.

Alessandro Napoli
Twitter: @UnoQuasiNormale
Blog: www.alessandronapoli.
ilcannocchiale.it

Foto:
Sonia Gioia
Twitter: @LaGioiaDepressa

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